lunedì 13 settembre 2010



La mia Peugeot

Avevo voglia di stare un po' da solo, ed ho pensato che un giro in bici sarebbe stato il modo giusto per farlo.
Il silenzio delle nostre strade di campagna, il vento tra i capelli ed i profumi della mia terra sono compagni leali e silenziosi quando ho voglia di rilassarmi.
Tra le tante, ho scelto la Peugeot, (bici da strada), ultimo recupero tra i tanti di questi anni, doveva ricambiarmi un favore.
Tempo fa la vidi vicino ad un cassonetto mentre correvo, e tornato a casa, pensando al triste destino che l'attendeva, tornai in macchina a prenderla.
Come un animale ferito, aspettava di essere tradotta in uno di quei depositi di raccolta di materiali ferrosi. Se ci penso mi vergogno un po', ma non resisto quando vedo una bici abbandonata. Versava in gravi condizioni, le mancava un pedale la sella e tanto altro, era stata verniciata di un verde ramarro dappertutto, ma mi ero reso conto che sotto quella orribile coltre, si nascondeva un buon “pezzo” vintage, come si usa dire oggi per tutto ciò che è vetusto, dovevo salvarla.
Fu così che dopo aver smontato tutti i pezzi recuperabili, cominciò un lungo restauro. Le ho dedicato diverse notti in compagnia di un buon sigaro Toscano dopo cena. Ancora non avevo scoperto Facebook che mi ha allontanato da questa autentica passione, e stare in garage a sistemarla magari ascoltando un po' di buona musica, mi regalava momenti di assoluto relax.
Ai suoi tempi (è nata negli anni 80), doveva essere una signora: doppia corona, 10 rapporti, cambio e componentistica francese, cerchi in lega e potenti freni di disegno futuristico.
Sabato scorso quindi dopo averla provata per brevi tratti, era giunto il momento di metterla alla prova. Lei mi “guardava”, ( anche le bici hanno un cuore, in lega, ma ce l'hanno), era pronta a ricambiare l'affetto ricevuto.
Dovevamo fare solo una quarantina di km. Entrambi avevamo bisogno di rodarci.
Così percorrendo strade poderali, conosciute e sconosciute raggiunsi Putignano, entrambi liberi, senza telefono, senza gps, solo orientamento a “naso” e quando nutrivo qualche dubbio sulla direzione, usavo l'antico ed ormai inutilizzato sistema di comunicazione sociale tipo: scusi questa strada dove porta? C'è sempre un contadino pronto ad indicarti la retta via, come un tempo, quando la fretta e l'elettronica non aveva ancora avuto il sopravvento.
Pedalavo con orgoglio e soddisfazione per essere riuscito a darle nuova vita, e lei sembrava gradire ricambiando leggera come una gazzella quel momento magico di incontro, io con il vento tra i capelli, lei lasciandosi guidare come una matura affascinante signora.

lunedì 2 agosto 2010










































































Tratto dal blog di Carlo Mari al ritorno della festa dei Gitani in Camargue. Un'esperienza unica che spero di ripetere a Settembre durante il prossimo appuntamento da me in Puglia

Ho appena lasciato Carlo, che si è offerto gentilmente di accompagnarmi al volo. Attendo il mio imbarco e naturalmente mi ritrovo a ricordare quanto accaduto nei giorni appena trascorsi in compagnia di nuovi amici. Mi piace conoscere persone nuove, confrontarmi con esse e instaurare rapporti. Nuovi volti immersi tra i tanti. Volti di bimbi, volti di donne, volti di madri, volti di uomini, volti di zingari. In Camargue assieme agli zingari, nomadi giunti da tutta l’Europa, (uomini liberi che hanno scelto l’incertezza rispetto alle nostre spesso monotone e pigre certezze che alla fine ci possiedono), a Saintes Marie de la Mer, per onorare, in devoto pellegrinaggio tre sante, le Marie. Sacro e profano fusi all’unisono, mescolando abilmente preghiere, canti e colori. Le chitarre o i violini (a seconda dei paesi di provenienza), sembrano essere naturali prosecuzioni delle mani che le utilizzano. Con grande maestria accompagnano le loro voci tramutando in musica struggenti storie di passione, amore ed onore. E’ bello lasciarsi cullare da canti e suoni gitani, l’atmosfera si fa accattivante e accogliente, e a dispetto dei soliti luoghi comuni, rassicurante. Mai invadenti e molto tolleranti con chi, come me, sostituisce l’obiettivo fotografico alle parole, mi chiedo se forse non sia merito di questa splendida terra che ci accoglie. Raramente in Europa, il raziocinio ha ragione sull’arroganza, e così le strade e l’asfalto lasciano spazio a paludi e acquitrini accogliendo, in un ambiente che potremmo pensare malsano, fenicotteri, aironi, germani, nutrie, castori, tori e cavalli, nostri fieri amici da sempre. Già gli amici, ma chi sono questi miei nuovi amici? CARLO l’organizzatore del workshop fotografico, come i predatori che solitamente fotografa, osserva le immagini che scorrono davanti ai suoi occhi azzurri e poi schizza via come in trance da otturatore (o sindrome da otturatore come dice Max), fermando per sempre, con i suoi innumerevoli scatti, quello che gli passa davanti. Vero maestro nell’inserirsi nella scena, veloce come una mitragliatrice, preciso come un cecchino, accantona in pochi minuti decine di scatti nella sua scheda, per poi ritornare, come la quiete dopo la tempesta, l’amico di sempre. CARLA, vera Sciura (si dice così?) dalla calda voce, cordiale e simpaticissima, sempre pronta a sfoderar sorrisi e vigilare, come solo un attenta mamma sa fare, il “suo” simpatico ed esuberante BEPPE,discolo come un ragazzino sempre in competizione con se stesso e gli altri e insuperabile mattatore nelle nobili arti della forchetta e del bicchiere. Unico possessore tra noi di una Canon, cosa che rendeva spesso le nostre cene un acceso derby tra Roma e Lazio. OLGA, gentile e suadente signora, dallo sguardo sornione e accattivante di chi sa ma non se ne vanta e LUIGI, vero gentlemen silenzioso, ma attento e sapiente compagno di viaggio.MAX, la sua risata echeggia ancora nelle lande francesi, (e la madonna! direbbe da milanese verace), simpaticissimo giovanotto sempre pronto a “bigiare” (sue testuali parole) aggrappandosi all’inverosimile quando vuole evitare qualcosa. E ultimo, ma non ultimo nella mia mente, il nostro zingaro FAUSTO, all’apparenza burbero e capriccioso, (ma non lo è) con cui ho condiviso i pernottamenti sino a fine viaggio quando mi ha accolto, trattandomi come un principe, nella sua splendida famiglia. Affidabile come la sua Wolkswagen e cordialissimo compagno di viaggio purchè non gli si rivolga la parola prima di mezzogiorno. Ora che sono nella mia amata terra, accompagnato dalle immagini che conserverò per sempre nella memoria e nel pc, vi saluto con affetto vostro Mimì di Bari (orribile nome affibbiatomi con simpatico e affettuoso scherno dal buon Mari). Vi saluto naturalmente in barese, stat’v bbunn (augurio di buona salute). Domenico

sabato 31 luglio 2010

La lettera che non leggerai.A Carlo Schena.



Da un pò di tempo guardo, raccolgo e scannerizzo dia che proietterò un giorno, spero non lontano, in compagnia di vecchi amici che ho conosciuto e frequentato in questi ultimi trentanni praticando il fuoristradismo in tutte le sue sfaccettature.
Tra le tante dia, ne avevo preparato alcune tue Carlo, ma non mi hai dato il tempo di fartele vedere te ne sei andato in silenzio per l'ultima escursione, sono certo le avresti commentate con il solito imbarazzante umorismo che ti caratterizzava.
Era impossibile non volerti bene, nessuno passava indenne dai tuoi sfottò. Ricordi? Ci conoscemmo durante una delle più dure escursioni sul Pollino a cui ho partecipato.
Eravamo partiti per costruire un igloo sulla Serra di Crispo, ma le condizioni atmosferiche proibitive non ci consentirono di montare neanche le tende (che avevamo portato per dormirci in caso d'emergenza). Vento e neve ci costrinsero a dormire in un buco (scavato nella neve) come le scuole di sopravvivenza insegnano. Malgrado la situazione drammatica e rischiosa (bufera tutta la notte) non smettesti di allietarci con le tue barzellette che resero gradevolissimo il "preoccupante" soggiorno in quella buca. Non ti ho mai ringraziato per avermi naturalmente insegnato l'arte di guidare un fuoristrada, non dimenticherò mai la tua destrezza al volante del vecchio Land 88, quando avanzavi con sapienti tocchi di acceleratore in buche di fango capaci di inghiottirci. Oppure quando in Algeria, al mio primo raid in 4x4, (era il 1989), malgrado avessi un polso dolorante per una caduta, affrontasti in silenzio senza lamentarti e magistralmente a cavallo della tua Tenerè 7000 km di piste sabbiose.
Non c'era mezzo che non guidassi con grande esperienza, infaticabile nell'organizzazione di gare e raid motociclistici.
Ora mi hai fatto l'ultimo scherzo sei scomparso senza avvisare mentre ero lontano dalla Puglia. Il tuo amico Bellomì ( mi chiamava per un aneddoto accaduto in dogana Algerina) non ha potuto neanche salutarti.
Mai avrei immaginato potessi toglierti la vita, mi hai colto di sorpresa ancora una volta. Mai avrei pensato che sotto l'aspetto di un buontempone di quella specie potesse nascondersi un animo così fragile e sensibile che ti portasse a compiere l'insano gesto.
Non saprò mai quali sono state le cause che ti hanno portato a questo, posso solo immaginarle, come non saprò mai se è più coraggioso andarsene così o restare a combattere.
Quello che so e che non rivedrò più il tuo sorriso e non sentirò più la tua pacca sulle spalle e il tuo : Wuè Bellomì tutto a posto? Addio Carlo, ti saluta anche Marina, colei che hai sempre chiamato non si sa perchè: Marisaaaaa!

venerdì 23 luglio 2010






Normandia 1944-1994


Sono trascorsi più di cinquanta anni dalla notte dello Sbarco che liberò l’Europa dalla tirannia Nazista.
Le immagini che vedrai, sono state scattate in occasione del cinquantesimo anniversario. Una festa per “non dimenticare”, la sofferenza, il sacrificio di quei giovani caduti in quei terribili giorni.
Ho cercato di racchiudere in questi scatti alcuni momenti di questa festa fino a giungere alla più rappresentativa per me, quella di un uomo che prega o più semplicemente rende omaggio in piedi, davanti ad una lapide di uno dei tanti cimiteri di guerra, un amico o familiare che non c’è più. Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe accaduto se lo sbarco non fosse andato come sappiamo. I film il giorno più lungo e salvate il soldato Ryan di Spielberg rendono l'idea dell'inferno che deve essere stato. Tra le foto troverai anche la spiaggia di Omaha che ha preso il nome della compagnia che vi sbarcò. Le perdite furono ingenti (avevano tutti un età che oscillava tra i 18/22 anni), grazie alla superiorità numerica ed al fattore sorpresa gli eventi dettero ragione alle forze alleate.
Mi ha molto impressionato la frase di un veterano americano che recita così:
eravamo così addosso un agli altri su quella maledetta spiaggia che tutto quello che i tedeschi dovevano fare era sparare: qualcuno l’avrebbero colpito!

mercoledì 21 luglio 2010

E’ notte fonda, ed io seduto sulla poltrona di un Boing 767 non riesco a chiudere occhio.
Ho tanto tempo per pensare, mancano diverse ore al raggiungimento della meta, molti passeggeri dormono, il computer di bordo segnala che stiamo sorvolando il mar Morto, l’altitudine è di quasi 12.000m. e la temperatura è di 57 gradi sotto zero.
Dal finestrino nessuna immagine, il buio ammanta tutto, solo qualche lucina oppone resistenza alla sua supremazia, chissà se qualcuno da laggiù si è accorto della nostra presenza.
Nella mia mente tante immagini. Già le immagini, tutta la nostra esistenza e rappresentata da immagini come fotogrammi della pellicola di un film, come foto indelebili conservate in un angolo recondito della memoria.
Mi sono innamorato della fotografia a vent’anni in una calda sera d’estate, guardando sulle bianche mura incalcinate di una delle nostre antiche case di campagna, le diapositive dell'amico, Beppe, tornato dall’Africa. L’emozione che provai fu così intensa e profonda, che decisi in quell’istante di imparare a fotografare per condividere quelle stesse emozioni con le persone che amo e gli amici. Da quel momento ho desiderato fissare in un fotogramma le sensazioni che provo guardando la gente attraverso un obiettivo.
In questi anni, ho percorso sentieri e piste che mi hanno condotto in terre lontane. Ho conosciuto popoli, lingue e religioni, comunicando coi gesti, con gli sguardi, coi sorrisi, atavici mezzi di comunicazione, che riaffiorano in quei momenti di grazia, quando sono lontano dalla mia dimensione abituale.
Questi incontri hanno lasciato in me, un segno profondo e ogni volta che seleziono le immagini che intendo esporre, riaffiora l’eco dei ricordi, delle impressioni, delle emozioni di allora.
Osservare una foto è infatti un esperienza profonda, provi ad immaginare il luogo, il momento e cosa facessero i soggetti fermati per sempre da quello scatto.

Fotografare un tempo non era così semplice, se non eri a conoscenza dell’uso di tempi, diaframmi ed il loro indissolubile rapporto, sensibilità della pellicola e sua latitudine di posa e altre mille altre variabili, il risultato era inguardabile.
Nessun aiuto da quelle fantastiche macchine meccaniche se non una semplice lancetta di sotto o sovra esposizione rappresentata dall’esposimetro interno (galvanometro), che ci indicava verosimilmente la corretta esposizione e la messa a fuoco garantita dal telemetro.
Se potessi quantificare il costo delle centinaia di scatti persi prima di raggiungere la decenza forse oggi girerei in Jaguar.
L’avvento del digitale, ha sconvolto ogni regola, moltissime maestranze di grandissima esperienza hanno perso il lavoro, sostituite da una stampante e da un p.c.
Se penso ai fotografi del passato soprattutto i reporter di guerra condividere la prima linea con i soldati, affrontando le pallottole armati solo di una reflex, o ai reportage geografici che ci hanno consentito di conoscere luoghi e popoli lontani, provo per loro un profondo senso di gratitudine e grandissima stima.
Tutto questo ha avuto inizio grazie all’intuizione di Leonardo da Vinci quasi 500 anni fa e poi nel tempo affinata fino ad arrivare fino a noi.
Non abbiate paura quindi di scattare, anche se osservare i propri scatti a volte è deludente e diverso da ciò che abbiamo visto i nostri occhi. Non va dimenticato infatti che la macchina, essendo tale, non riproduce i sentimenti, quindi l’immagine vista dai nostri occhi, sarà senz’altro più bella perché gravida di emozioni trasmesseci dallo stato d’animo vissuto in quell’istante.
Tristezza, felicità, euforia, affetto, odio, ilarità, tenerezza, simpatia, ecc. son parte di noi "umani" non di una “macchina”, ma il tempo e l’esperienza, ci consentono di trasmettere anche queste emozioni e questo che fa grande un fotografo, catturare l'attenzione e farci pensare.
Naturalmente non sto parlando di me, ma mi piace pensare ad uno spazio, il blog, in cui scrivere i miei pensieri e condivederli con amici e sconosciuti che diverranno a loro volta nuovi amici con cui discutere e confrontarsi reciprocamente a parlar di sensazioni, di emozioni, di tecnica, viaggi. Un "luogo" in cui come in una piazza virtuale, incontrarsi quando se ne ha voglia e raccontarsi. Vi aspetto Domenico.