sabato 31 luglio 2010

La lettera che non leggerai.A Carlo Schena.



Da un pò di tempo guardo, raccolgo e scannerizzo dia che proietterò un giorno, spero non lontano, in compagnia di vecchi amici che ho conosciuto e frequentato in questi ultimi trentanni praticando il fuoristradismo in tutte le sue sfaccettature.
Tra le tante dia, ne avevo preparato alcune tue Carlo, ma non mi hai dato il tempo di fartele vedere te ne sei andato in silenzio per l'ultima escursione, sono certo le avresti commentate con il solito imbarazzante umorismo che ti caratterizzava.
Era impossibile non volerti bene, nessuno passava indenne dai tuoi sfottò. Ricordi? Ci conoscemmo durante una delle più dure escursioni sul Pollino a cui ho partecipato.
Eravamo partiti per costruire un igloo sulla Serra di Crispo, ma le condizioni atmosferiche proibitive non ci consentirono di montare neanche le tende (che avevamo portato per dormirci in caso d'emergenza). Vento e neve ci costrinsero a dormire in un buco (scavato nella neve) come le scuole di sopravvivenza insegnano. Malgrado la situazione drammatica e rischiosa (bufera tutta la notte) non smettesti di allietarci con le tue barzellette che resero gradevolissimo il "preoccupante" soggiorno in quella buca. Non ti ho mai ringraziato per avermi naturalmente insegnato l'arte di guidare un fuoristrada, non dimenticherò mai la tua destrezza al volante del vecchio Land 88, quando avanzavi con sapienti tocchi di acceleratore in buche di fango capaci di inghiottirci. Oppure quando in Algeria, al mio primo raid in 4x4, (era il 1989), malgrado avessi un polso dolorante per una caduta, affrontasti in silenzio senza lamentarti e magistralmente a cavallo della tua Tenerè 7000 km di piste sabbiose.
Non c'era mezzo che non guidassi con grande esperienza, infaticabile nell'organizzazione di gare e raid motociclistici.
Ora mi hai fatto l'ultimo scherzo sei scomparso senza avvisare mentre ero lontano dalla Puglia. Il tuo amico Bellomì ( mi chiamava per un aneddoto accaduto in dogana Algerina) non ha potuto neanche salutarti.
Mai avrei immaginato potessi toglierti la vita, mi hai colto di sorpresa ancora una volta. Mai avrei pensato che sotto l'aspetto di un buontempone di quella specie potesse nascondersi un animo così fragile e sensibile che ti portasse a compiere l'insano gesto.
Non saprò mai quali sono state le cause che ti hanno portato a questo, posso solo immaginarle, come non saprò mai se è più coraggioso andarsene così o restare a combattere.
Quello che so e che non rivedrò più il tuo sorriso e non sentirò più la tua pacca sulle spalle e il tuo : Wuè Bellomì tutto a posto? Addio Carlo, ti saluta anche Marina, colei che hai sempre chiamato non si sa perchè: Marisaaaaa!

venerdì 23 luglio 2010






Normandia 1944-1994


Sono trascorsi più di cinquanta anni dalla notte dello Sbarco che liberò l’Europa dalla tirannia Nazista.
Le immagini che vedrai, sono state scattate in occasione del cinquantesimo anniversario. Una festa per “non dimenticare”, la sofferenza, il sacrificio di quei giovani caduti in quei terribili giorni.
Ho cercato di racchiudere in questi scatti alcuni momenti di questa festa fino a giungere alla più rappresentativa per me, quella di un uomo che prega o più semplicemente rende omaggio in piedi, davanti ad una lapide di uno dei tanti cimiteri di guerra, un amico o familiare che non c’è più. Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe accaduto se lo sbarco non fosse andato come sappiamo. I film il giorno più lungo e salvate il soldato Ryan di Spielberg rendono l'idea dell'inferno che deve essere stato. Tra le foto troverai anche la spiaggia di Omaha che ha preso il nome della compagnia che vi sbarcò. Le perdite furono ingenti (avevano tutti un età che oscillava tra i 18/22 anni), grazie alla superiorità numerica ed al fattore sorpresa gli eventi dettero ragione alle forze alleate.
Mi ha molto impressionato la frase di un veterano americano che recita così:
eravamo così addosso un agli altri su quella maledetta spiaggia che tutto quello che i tedeschi dovevano fare era sparare: qualcuno l’avrebbero colpito!

mercoledì 21 luglio 2010

E’ notte fonda, ed io seduto sulla poltrona di un Boing 767 non riesco a chiudere occhio.
Ho tanto tempo per pensare, mancano diverse ore al raggiungimento della meta, molti passeggeri dormono, il computer di bordo segnala che stiamo sorvolando il mar Morto, l’altitudine è di quasi 12.000m. e la temperatura è di 57 gradi sotto zero.
Dal finestrino nessuna immagine, il buio ammanta tutto, solo qualche lucina oppone resistenza alla sua supremazia, chissà se qualcuno da laggiù si è accorto della nostra presenza.
Nella mia mente tante immagini. Già le immagini, tutta la nostra esistenza e rappresentata da immagini come fotogrammi della pellicola di un film, come foto indelebili conservate in un angolo recondito della memoria.
Mi sono innamorato della fotografia a vent’anni in una calda sera d’estate, guardando sulle bianche mura incalcinate di una delle nostre antiche case di campagna, le diapositive dell'amico, Beppe, tornato dall’Africa. L’emozione che provai fu così intensa e profonda, che decisi in quell’istante di imparare a fotografare per condividere quelle stesse emozioni con le persone che amo e gli amici. Da quel momento ho desiderato fissare in un fotogramma le sensazioni che provo guardando la gente attraverso un obiettivo.
In questi anni, ho percorso sentieri e piste che mi hanno condotto in terre lontane. Ho conosciuto popoli, lingue e religioni, comunicando coi gesti, con gli sguardi, coi sorrisi, atavici mezzi di comunicazione, che riaffiorano in quei momenti di grazia, quando sono lontano dalla mia dimensione abituale.
Questi incontri hanno lasciato in me, un segno profondo e ogni volta che seleziono le immagini che intendo esporre, riaffiora l’eco dei ricordi, delle impressioni, delle emozioni di allora.
Osservare una foto è infatti un esperienza profonda, provi ad immaginare il luogo, il momento e cosa facessero i soggetti fermati per sempre da quello scatto.

Fotografare un tempo non era così semplice, se non eri a conoscenza dell’uso di tempi, diaframmi ed il loro indissolubile rapporto, sensibilità della pellicola e sua latitudine di posa e altre mille altre variabili, il risultato era inguardabile.
Nessun aiuto da quelle fantastiche macchine meccaniche se non una semplice lancetta di sotto o sovra esposizione rappresentata dall’esposimetro interno (galvanometro), che ci indicava verosimilmente la corretta esposizione e la messa a fuoco garantita dal telemetro.
Se potessi quantificare il costo delle centinaia di scatti persi prima di raggiungere la decenza forse oggi girerei in Jaguar.
L’avvento del digitale, ha sconvolto ogni regola, moltissime maestranze di grandissima esperienza hanno perso il lavoro, sostituite da una stampante e da un p.c.
Se penso ai fotografi del passato soprattutto i reporter di guerra condividere la prima linea con i soldati, affrontando le pallottole armati solo di una reflex, o ai reportage geografici che ci hanno consentito di conoscere luoghi e popoli lontani, provo per loro un profondo senso di gratitudine e grandissima stima.
Tutto questo ha avuto inizio grazie all’intuizione di Leonardo da Vinci quasi 500 anni fa e poi nel tempo affinata fino ad arrivare fino a noi.
Non abbiate paura quindi di scattare, anche se osservare i propri scatti a volte è deludente e diverso da ciò che abbiamo visto i nostri occhi. Non va dimenticato infatti che la macchina, essendo tale, non riproduce i sentimenti, quindi l’immagine vista dai nostri occhi, sarà senz’altro più bella perché gravida di emozioni trasmesseci dallo stato d’animo vissuto in quell’istante.
Tristezza, felicità, euforia, affetto, odio, ilarità, tenerezza, simpatia, ecc. son parte di noi "umani" non di una “macchina”, ma il tempo e l’esperienza, ci consentono di trasmettere anche queste emozioni e questo che fa grande un fotografo, catturare l'attenzione e farci pensare.
Naturalmente non sto parlando di me, ma mi piace pensare ad uno spazio, il blog, in cui scrivere i miei pensieri e condivederli con amici e sconosciuti che diverranno a loro volta nuovi amici con cui discutere e confrontarsi reciprocamente a parlar di sensazioni, di emozioni, di tecnica, viaggi. Un "luogo" in cui come in una piazza virtuale, incontrarsi quando se ne ha voglia e raccontarsi. Vi aspetto Domenico.